PRIMA PARTE

Il 26 maggio 1890 il Capitanato di Porto di Pola inviava una nota all’ I. R. Governo Marittimo in Trieste, per renderlo partecipe di un problema sorto da qualche tempo e di fronte al quale non sapeva come comportarsi:

"Quasi annualmente approdano durante la buona stagione in questo porto, barche di Società di canottieri, le quali pella loro costruzione leggera e senza coperta non sono atte a battere il mare, e con simili imbarcazioni, giovani appartenenti alle società di canottieri di Trieste si avventurano fino a Pola, arrischiando in tal modo le loro vite, perché venendo durante il tragitto, che è abbastanza lungo, sorpresi da tempo procelloso lungo qualche tratto di costa parzialmente erta e rocciosa e durante l’attraversamento di qualche canale come quello di Quieto e Leme, essi perirebbero senza dubbio".

[ Archivio di stato di Trieste – Governo marittimo 1881-1894 - Busta 312 ]

Dopo aver lamentato la mancanza di precise disposizioni al riguardo, lo zelante funzionario sollecitava il Governo Marittimo affinché venissero emesse in merito opportune direttive.

In effetti, già nei primi anni dalla nascita dei club di canottaggio quella delle escursioni e delle traversate lunghe era stata una delle attività ampiamente praticate dagli intrepidi canottieri triestini ed istriani. Le regate non erano ancora così frequenti come oggi e le vogate a lungo raggio erano un’occasione per provare la propria forza e resistenza. Ad esempio sappiamo che il 1 luglio 1883 un equipaggio del Club Canottieri “Adria” di Trieste si spingeva fino a Pirano coprendo i 22 kilometri in 115 minuti, compresi 5 minuti di sosta; era riuscito così ad uguagliare il tempo di 200 metri al minuto che aveva tenuto sul tratto di 2000 metri, percorso pochi giorni prima in una regata in cui … non era risultato vittorioso.

Ma erano anche frequenti le gite con i canotti per incontrare gli amici delle altre società nautiche. Ciò rientrava nello spirito, diffuso e irripetibile, di fratellanza fra i club che praticavano questo nuovo sport che stava acquistando sempre più vasta popolarità. Spirito a cui non era estraneo il forte sentimento di identità nazionale che legava l’area giuliana ed istriana. In questo clima, ad esempio, l’ultima domenica di agosto del 1887 numerosi canottieri istriani si radunarono ad Umago per assistere alla benedizione della bandiera della locale Società Operaia; al convegno era presente anche il canottiere triestino Umberto Deperis

...il quale su uno Schifo (sic) quasi invisibile, solo e di notte si era peritato di attraversare il golfo di Trieste.

[ “L’Istria” – 3 settembre 1887 ]

Di certo le traversate non sempre erano prive di pericoli. Il 2 ottobre del 1887 quelli di Parenzo ricevettero la visita di 9 canottieri triestini e 7 della Pietas Julia da Pola giunti via mare con le loro imbarcazioni; colti dal maltempo in mare durante la notte, i triestini dovettero riparare a Cittanova mentre i polesi, che si erano recati all’appuntamento con il lancione “Faveria”, tribolarono non poco nei pressi di Punta Barbariga in attesa che il tempo migliorasse. Il giornale “L’Istria” del 3 ottobre nel riferire dell’avvenimento scriveva

Noi applaudiamo con tutto il cuore a queste escursioni imperocchè l’utile, non visibile ad occhio nudo, che esse apportano è però reale. I nostri giovani imparano così a conoscersi, ad amarsi e stimarsi e, quel che è più, esse escursioni contribuiscono a cementare sempre più quella tanto invocata unione morale delle nostre città costiere.

[ “L’Istria” – 3 ottobre 1887 ]

L’anno seguente fu la volta di Pola di ricevere quelli dell’Adriaco:

Dunque domani i canottieri parentini ritorneranno la visita ai nostri della Pietas Julia. La società dei nostri canottieri prepara una lieta accoglienza ai fratelli di Parenzo, né punto dubitiamo che la festa non sarà lieta, cordiale e cortesemente gentile.

[ “L’eco di Pola" – 25 agosto 1888 ]

E nel 1889 , ancora a Parenzo, vi fu un memorabile raduno dei canottieri istriani che giunsero al luogo d’incontro con i loro canotti. La cronaca parla di un banchetto con 53 coperti, a cui non mancarono i presidenti delle società, le autorità politiche comunali e provinciali ed il tutto allietato dalla musica della banda cittadina. Tra un brindisi ed un discorso non si trascurò lo spirito patriottico e furono raccolti più di trenta fiorini in favore della Pro patria.

[ “L’Istria” 14 settembre 1889 ]

E’ comprensibile quindi che, a lungo andare, il proliferare di queste imprese, se non proprio spericolate almeno audaci, finissero per impensierire l’autorità portuale di una delle mete preferite: Pola. La materia risultava nuova anche per il Governo Marittimo, ed infatti questi si rivolse addirittura ai Consolati Generali di Austria e Ungheria a Genova e a Napoli per avere notizie sulle norme adottate nel Regno d’Italia per garantire la sicurezza personale dei gitanti. Le risposte non tardarono ad arrivare ma non furono illuminanti; in conclusione dicevano non esservi norma alcuna che regolamentasse la circolazione dei “galleggianti da diporto” se non quelle generiche contemplate nel Codice della Marina Mercantile. Alla luce di ciò, il Governo Marittimo di Trieste in data 21 agosto 1890 diramava un dispaccio del seguente tenore:

E’ senza dubbio un atto di temerarietà e di imprudenza l’avventurarsi con imbarcazioni non atte a battere il mare in un lungo tragitto come da Trieste a Pola. … Senonchè, considerato che volendo stabilire delle norme per la qualità dei natanti e per le qualifiche dei capi equipaggio delle barche dei canottieri si verrebbe ad inceppare di molto la libertà degli esercizi cui si dedicano con grande predilezione le numerose società di canottieri sorte negli ultimi tempi; Considerato che d’altronde non si ebbero a deplorare disgrazie per la mancanza di disposizioni nel senso suaccennato; Visto che anche in Italia non vigono in argomento delle norme per tutelare la sicurezza dei canottieri, sono dell’avviso che… sia lasciata piena libertà d’azione nei tragitti lungo le nostre coste alle società dei canottieri.

[ Archivio di Stato di Trieste – Governo marittimo – Busta 312 ]

Raccomandazione importante: chi si cimentava in questo tipo di crociere era tenuto a non discostarsi più di 3 miglia dalla costa, doveva essere dotato di bussola a mano e carta idrografica ed il canotto condotto da un nocchiere responsabile.

Anche nel vicino Regno d’Italia i lunghi percorsi a remi erano nati quasi contemporaneamente al canottaggio. Prima ancora che fosse redatto un vero e proprio regolamento per le regate, un gruppo di soci della Canottieri Cerea di Torino decise di discendere il Po sino alla foce e nel luglio del 1867, con la jole San Marco allestita allo scopo, raggiunse Venezia. Tante altre imprese seguirono a questa: ad esempio, dieci anni dopo, nel 1877 tre membri della Società Canottieri del Tevere (Pio Barucci, Augusto Camotto e Virgilio Marchetti) compirono con delle “battane” un viaggio via mare da Roma a Genova, impiegando 28 giorni. Questo faceva seguito ad un’altra crociera a remi da Roma a Napoli effettuata l’anno prima. Nel 1880 fu la volta dei genovesi della Società Ginnastica Ligure “Cristoforo Colombo” di raggiungere Roma con il canotto “Venezia” con quattro vogatori e timoniere; partiti dalla Darsena Genova il 17 giugno, giunsero a Fiumicino il 26 e, risalito il Tevere, finalmente a Roma il 27 giugno dove li attendeva una numerosa delegazione di sportivi genovesi giunti per ferrovia ed accolti dai canottieri locali.

Parenzo, 8 settembre 1889 - raduno dei canottieri istriani


SECONDA PARTE

In Adriatico, Pola, sia per l’invidiabile posizione geografica che per il fascino che la città esercitava fu sempre al centro di queste ardite imprese, come meta o come punto di partenza. Come abbiamo già visto, il pretesto spesso era dato dalla partecipazione a convegni di canottieri o cerimonie ufficiali alle quali ci si recava in canotto a forza di braccia: nel settembre 1889 si incontrarono a Parenzo i rappresentanti dei club istriani; da Pola giunse la jole a 8 “Epulo” , i piranesi con lo “Ziani” e quelli di Capodistria con il canotto a 6 remi “Dogali” e non mancò all’appello il “Faro”, jole a 4 di Rovigno, che pure non aveva ancora costituito una società di canottaggio. Fra brindisi e discorsi ufficiali veniva espresso l’augurio che

...simili convegni si ripetano ogni anno or qua or là, per mantener sempre vivo il pensiero della patria e che la gioventù istriana impari a conoscersi e ad amarsi

[ “L’Istria” – 14 settembre 1889 ]

Un’altra occasione si presentò il 2 agosto 1896, quando un armo di canottieri della Pietas Julia raggiunse Pirano per unirsi agli altri canottieri e rappresentare la Società ai festeggiamenti per l’inaugurazione del monumento a Giuseppe Tartini, gloria ed orgoglio della terra d’Istria. La valenza patriottica ancor prima che sportiva di tali partecipazioni è evidente.

Nell’agosto del 1905 la jole “Vittoria” della “Diadora” raggiunse Pola dove i canottieri furono accolti festosamente:

Ai canottieri della Diadora che, simpatici a tutti per la loro intrepidezza e resistenza contro i marosi, ottennero il plauso della nostra cittadinanza>

Così si leggeva sul quotidiano “Il Giornaletto di Pola” del 16 agosto. I bravi canottieri avevano accompagnato una folta delegazione di zaratini, sindaco in testa, che con la motonave “Hungaria” si era recata in visita alla consorella città istriana per una specie di gemellaggio patriottico con festeggiamenti, discorsi, e concerti delle bande di entrambe le comunità. Manifestazioni osteggiate, anche pesantemente, da autorità locali e da elementi provocatori anti italiani. I canottieri, che non potevano mancare a questi appuntamenti, oltre che alla fatica ed alle condizioni avverse del mare dovettero affrontare altri disagi; in realtà giunsero a Pola sotto scorta perché nel porto di Veruda vennero arrestati dalle guardie di finanza austriache in quanto sospettati di essere spie. Poteva accadere anche questo.

Poi fu la volta di Pola di ricambiare la visita; il canotto “Venezia” con il capo canottiere Arturo Sottocorona e l’equipaggio composto da Ettore Salvadori, Appio Martinuzzi, Amodeo Fonda e Antonio Vatta giunse sino a Zara per presenziare, a nome della Pietas Julia, all’inaugurazione della nuova sede della S. C. Diadora. Partiti da Pola il 16 luglio 1908, dopo aver toccato Lussino giunsero e S.Pietro in Nembi dove arrivarono attorno alla mezzanotte. Al mattino seguente i canottieri fecero rotta su Selve dove il mare molto agitato li costrinse ad una sosta forzata. Da Zara, gli amici che li attendevano in ansia inviarono un vaporetto per accompagnarli alla meta ma i polesani rifiutarono decisamente, determinati a completare il tragitto col i propri mezzi. Infatti il giorno seguente, con il tempo finalmente al bello, ultimarono la tratta da Selve a Zara dove giunsero al mattino accolti gioiosamente:

Allorchè comparve all’imboccatura del porto il lancione sociale del “Diadora” con i colori di Pola precedente il nostro canotto “Venezia” con i colori di Zara contornato a destra e sinistra e seguito da tutte le imbarcazioni del “Diadora” fu un momento d’entusiasmo indescrivibile

[ “Il giornaletto di Pola" - 22 luglio 1908 ]

Persino lo scoppio della Grande Guerra fu occasione di “crociere” anche se non proprio per diporto. Come non ricordare la fuga degli atleti della Libertas che, fra pericoli non solo di navigazione, raggiunsero Venezia a forza di remi per potersi arruolare nell’Esercito Italiano; un gesto che costò alla gloriosa Società di Capodistria la rappresaglia violenta degli austriaci. Finita la guerra, raid e crociere videro una e nuova intensa stagione. Pola e la Dalmazia si confermarono la meta ideale non solo per la posizione geografica ma anche per il sentimento patriottico che quelle terre suscitavano. Gli scambi di visite fra le città redente e la nuova Patria serviva a consolidarne i legami. I raid remieri videro spesso Pola protagonista. Da Pola prendevano il largo i canottieri per raggiungere Fiume, ancora contesa, e testimoniare il radicato sentimento nazionale:

“I polesi a Fiume”
...Incontriamo dopo Porto Albona in un’ insenatura un canotto della Pietas Julia, poi un secondo, che si recano con i propri mezzi a Fiume. E’una bella audacia e dal “Fuciliere” si sventolano i fazzoletti e si scandiscono gli evviva. I bravi canottieri giunsero a Fiume alle ore 13 festeggiatissimi dai colleghi della Società Quarnero. Ecco i titoli d’onore dei bravi canottieri: Bosich; Petronio; Palisca; Zidarich; Cecada. “Serenissima” Yole a 4 remi

[ “Il Giornaletto di Pola” – 1919. A.d.S. Trieste – Per. 232 ]

Non c’è da stupirsi se in queste traversate capitava di fare incontri curiosi, come quando la joletta “Eneo” della Pietas Julia, montata da Carlo Alessandrino, Luciano Vio e Alberto Zafred, che stava compiendo la traversata Pola-Venezia incrociò, nei pressi di Caorle, i canottieri lombardi impegnati a loro volta in un raid Milano-Pola. Era il 18 agosto 1925.

Se nei primi tempi di euforia patriottica questi eventi erano salutati festosamente, negli anni seguenti ci fu anche qualcuno che ne approfitterà interpretando in modo molto personale accoglienza ed ospitalità.

Nel Registro dei verbali di Direzione della Pietas Julia, nella seduta del 22 agosto del 1928, si legge della decisione di scrivere alla Società Canottieri Olona di Milano per ottenere la restituzione di Lire 200 dai suoi soci che avevano compiuto il raid Gardone-Fiume. Questi, appartenenti al “Gruppo Oberdan” del Fascio di Milano, erano partiti il 15 luglio da Gardone, con tappe a Peschiera, Mantova, Pontelagoscuro, Venezia, Foce del Piave e Grado, per puntare poi verso l’Istria. Dopo aver toccato Pirano e Parenzo erano giunti a Pola il 25 sera ben ricevuti dai canottieri locali e dalle autorità:

L’armo milanese è stato accolto alla diga di Pola da numerose imbarcazioni della Pietas Julia recatesi ad incontrarlo. All’ arrivo presso la sede erano presenti l’on. Maracchi, segretario federale del Partito, il Console De Turris, il centurione cav. Reggio ed altri ufficiali della milizia - Durante il rinfresco offerto ai valorosi canottieri dalla Pietas Julia, il sig. Fabbris ha portato loro il saluto dei canottieri polesi

[ “Il Piccolo” - 26.06.1928 ]

La risposta al garbato sollecito fu tutt’altro che incoraggiante, infatti i canottieri interpellati sostennero

...di aver ricevuto l’importo quale gentile e spontanea sovvenzione a fondo perduto

Versione respinta con decisione dal Consiglio Direttivo che nel verbale del 26 settembre precisa:

Essendo questo assolutamente falso per aver la Società adempiuto il dovere di ospitalità in altra forma… si decide di chiedere il rimborso della somma al Comando di Legione appartenendo l’equipaggio alla stessa ed avendo saputo che il Comando provvide alla regolazione di altre pendenze dell’equipaggio

[ Archivio Fondazione Pietas Julia – Libro dei verbali di Direzione - 1928 ]

Evidentemente gli intraprendenti avanguardisti non erano nuovi a fruire di tali generose elargizioni; Non sappiamo se le 200 Lire furono mai recuperate.


TERZA PARTE

Per fortuna non tutti i “croceristi” erano così disinvolti. Anzi, lo spirito che li muoveva, anche se a volte non privo di una dose di goliardia, risulta pregno di passione autentica, serietà nella preparazione e sincera riconoscenza verso quanti si prodigavano per favorire la buona riuscita dell’impresa.

Risulta esemplare il diario tenuto dal triestino Raimondo Cornet a proposito di un raid sino a Zara compiuto con quattro amici fra la fine di luglio ed i primi di agosto del 1926. Così annotava:

L’idea di raggiungere Zara a remi, mi è sorta l’anno scorso, dopo un riuscitissimo viaggio a Pola in una jole a due vogatori e timoniere

Forte di questa prima esperienza si mise d’impegno assieme ai compagni di voga, Nino Dostall, Etto Pieri, Luigi Salvador, Carlo Tenze, pianificando con meticolosità la traversata di 160 miglia da compiersi in 32 ore. Niente era lasciato all’improvvisazione: la jole di mare “Istria”, l’attrezzatura di bordo, il vestiario, il necessario per cucinare e le vettovaglie strettamente indispensabili, senza trascurare due cuscini imbottiti di crine su cui poggiare il prezioso canotto una volta tirato a terra ed il grasso di cocco per proteggersi dai raggi del sole. Tutto razionalizzato con cura perché lo spazio a bordo era davvero limitato.

Ovviamente non mancheranno imprevisti e disagi: i venti contrari, le burrasche che costringeranno a soste forzate, le scottature per la troppa esposizione al sole e qualche linea di febbre. Ma vi sono anche gli incontri che rendono prezioso il ricordo del viaggio. A Pola non poteva mancare la sosta alla sede dei canottieri locali:

Si fila verso la canottiera della Pietas Julia, là troviamo conforto ed ospitalità. L’ ”Istria”, il nostro fido guscio, può venir finalmente lavato e ripulito per bene. E per noi c’è una doccia freschissima

Ed alla partenza:

alcuni soci della Pietas Julia ci aiutano nei nostri preparativi e tra ringraziamenti ed evviva lasciamo Pola...

A Veruda, dove giungono a tarda sera, l’ospitalità in casa di un pescatore è provvidenziale:

In casa del pescatore ci accoglie una famiglia numerosissima… uno sciame di ragazze e ragazzi si affolla attorno a noi. Una ragazza si offre di cucinarci la cena. - … la consorte ci prepara frattanto da dormire. Povera gente, hanno mobilizzato per noi tutti i materassi e tutti i cuscini de la casa

Non meno cordiale l’accoglienza a Medolino, dove gli avventurosi sono costretti a ripiegare da un Quarnaro tempestoso. Questa volta sarà il trabaccolo veneziano “Paron Belo” ad ospitarli per la notte e ad offrire pesce e polenta cucinati a bordo. Il Quarnaro invece non si smentisce:

...dai monti del Carnaro incominciò ad urlare lo scirocco, flagellando il mare, che a un tratto cambiò fisonomia. Grosse ondate, coperte di schiuma ci spingono al largo… - Siamo molli di acqua e affaticatissimi sono i vogatori. Ma in tutti noi c’è l’intima gioia di aver compiuto il tragitto più pericoloso

Per fortuna a terra è diverso:

A Unie, come da per tutto,troviamo entusiastiche accoglienze. Le notabilità del paese ci prestano ogni possibile aiuto. Dieci, venti braccia ci soccorrono a togliere da l’ ”Istria” tutto il bagaglio. Il sig. Scoviarich ci mette a disposizione il suo magazzino per la custodia del materiale e de l’imbarcazione che viene portata a terra

Il fatto è che i canottieri suscitano simpatia; ecco la descrizione dell’approdo a San Pietro in Nembi:

Arriviamo nel paese a notte. Tutti gli abitanti sono al molo di approdo. L’arrivo di canottieri, e intrepidi per sopramercato, non è avvenimento di tutti i giorni. Dopo aver ormeggiato l’”Istria” ci dirigiamo a l’osteria del paese seguiti da un codazzo di donne e fanciulli e di qualche uomo, dico “qualche” perché la maggioranza dei maschi è tutta in America a far fortuna

Per raggiungere la meta si dovranno attraversare anche le isole che dopo la guerra sono sotto la Jugoslavia, ma anche qui non vi sono problemi per l’accoglienza. La lettera di presentazione del console jugoslavo a Trieste e l’annuncio preventivo delle autorità portuali italiane a quelle jugoslave di tutte le isole che devono essere toccate appianano ogni eventuale ostacolo burocratico. Andrebbe tutto bene se il sole, a tratti impietoso, non procurasse scottature e febbre. Nella sosta a Ulian, nelle ore più calde, qualcuno cade in un provvidenziale sonno ristoratore, qualcun altro ne approfitta per sbarbarsi in previsione del prossimo arrivo a Zara e c’è chi, più praticamente, aiuta nella cucina dell’osteria del paese l’ostessa a spiumare la gallina che fungerà da pranzo.

L’ultima tratta, il 31 luglio, quando la meta è a poco più di cinque miglia, viene percorsa contro uno scirocco che fa ribollire il mare, ma già si avvista la jole a otto della “Diadora” che è uscita incontro ai triestini. Al pontile della canottiera c’è tutta la direzione della Società, presidente Brizzi in testa, a fare festosa e cordiale accoglienza. Gli scambi di saluti ed attestati di reciproca simpatia non possono essere suggellati se non dal tradizionale brindisi con il maraschino Luxardo.

Il giorno seguente, nella nota del 1 agosto il Cornet scrive:

Oggi nel pomeriggio ha avuto luogo in forma semplice e confidenziale la consegna della medaglia a la Società Diadora. Ho detto alcune parole di saluto a la gloriosa Società e rispose accogliendo il dono il chiarissimo avv. Brizzi, Presidente de la Diadora. Quindi nuovo rinfresco e nuove fraternizzazioni>

Come sempre, la fine di ogni avventura lascia, accanto alla soddisfazione, un velo di malinconia:

Ci congediamo dagli amici della “Diadora”, ringraziandoli ancora per la fraterna accoglienza e lasciando loro in pegno il nostro guidone legato con un nastro tricolore e accompagnato da un mio versetto, ne la speranza che i fratelli zaratini ce lo riportino a remi a Trieste

Il canotto “Istria” tornerà indietro a bordo della motonave “Quieto” mentre i cinque canottieri, raggiunta Lussino con un passaggio in motoscafo, si imbarcheranno sul piroscafo “San Marco” della compagnia Istria-Trieste che li riporterà a casa.

[ Raimondo Cornet - "Centosessanta miglia a remi. Trieste-Zara" ]

Durante il periodo fascista il canottaggio, pur non rientrando fra gli sport prioritari stabiliti dal CONI per le attività svolta dalla GIL, essendo relegato fra gli sport popolari curati dall’Opera Nazionale Dopolavoro (OND), veniva ampiamente praticato riscuotendo lusinghieri successi di livello internazionale. Anche le traversate lunghe si confermavano quali prove di vigore e di ardimento in perfetta linea con lo spirito dei tempi e con la tradizione di numerosi circoli. Il 15 ottobre 1931 il Presidente della R. Società Canottieri Bucintoro, Giuseppe Calzavara con accenti adeguati al periodo così scriveva ad Oscar Rossi, suo omologo della Pietas Julia:

Questi canottieri che hanno voluto fendere il mare Adriatico con una imbarcazione sociale per venire a Pola, recano con loro il mio saluto a Lei Sig. Presidente, saluto che le invio tanto più volentieri in quanto è testimone di una simpatica audacia che ha voluto sfidare le onde dell’Adriatico, tendendo con la forza dei muscoli gagliardi ad una meta così cara al cuore degli italiani e creando un nuovo legame tra le opposte rive del comune mare

Sosta a terra sulla via di Zara

Si riferiva ad una jole ad 8 che da Venezia aveva raggiunto la città istriana e Rossi rispondeva nel tono aulico in uso:

Non so ancora s’io debba ammirare di più l’audacia e la forza di nove coraggiosi atleti che facendo garrire al vento il rosso gagliardetto orlato d’oro … hanno sfidato in questa stagione infida su una fragile imbarcazione le ire del nostro Adriatico, oppure il gesto supremamente bello verso la città redenta culla d’italianità

[ Archivio R.S.C. “Bucintoro” ]

Pola quindi si confermava una delle mete ambite in Adriatico.

Ancora una volta ci piace soffermarci su un diario di crociera pervenuto sino a noi, probabilmente uno dei tanti che documentavano questi raid; diari che ci danno l’idea dello spirito che animava i canottieri nel preparare e realizzare le loro imprese.

Si tratta della traversata portata a compimento da cinque sportivi della Società Canottieri Timavo di Monfalcone dal 13 al 15 agosto 1930. La “Timavo”, jole a 4 con timoniere, si stacca dal pontile della canottiera sotto un cielo non proprio incoraggiante, ma il caloroso saluto dei consoci ed un doveroso ottimismo li accompagna e li porta scegliere di puntare direttamente su Pirano, anziché preferire la più prudente rotta che costeggiava il Golfo verso Trieste. Ma poco più di un ora più tardi, quando la jole è ben al largo di Sdobba, si alza il vento ed il mare ingrossa tanto da consigliare di ripiegare su Grado che viene raggiunta attraverso il canale Primero sotto la pioggia. Inzuppati, anche per l’acqua imbarcata, i cinque trovano amichevole accoglienza presso la canottiera “Ausonia”. La prima tappa è durata appena 3 ore e mezza e sono arrivati poco lontano: solo 28 kilometri.

La seconda tirata andrà meglio, nonostante si possa lasciare Grado solo nel pomeriggio del giorno seguente a causa del mare grosso dopo il temporale, in 3 ore giungeranno ad Umago. Ormai elettrizzati per l’impresa, costeggiare l’Istria è un vero piacere ed al tramonto la “Timavo” accosta al pontile della più antica canottiera istriana: la “Forza e Valore” di Parenzo.

Il giorno seguente è ferragosto e di buon mattino, mentre la città è ancora pigramente addormentata, il canotto riprende la navigazione con un mare mosso e dopo una breve sosta ad Orsera per rifocillarsi (a Parenzo era tutto chiuso e quindi niente colazione) si riprende verso Rovigno dove vengono accolti dai soci dell’ “Arupinum”. Qui la sosta è necessaria non solo per il pranzo, ma per provvedere alla riparazione della rotaia di un seggiolino e per asciugare al sole il contenuto dei bagagli caduti accidentalmente in acqua:

Conseguenza di ciò è un bel cordoncino tirato al sole fuori dalla canottiera, dove fanno bella mostra di sé diverse giacche, dai bottoni d’oro, ed alcuni calzoni

E’ curioso vedere come, pur nell’esiguità degli spazi disponibili a bordo, non si trascurasse di portare al seguito l’elegante divisa da sbarco. Non era pensabile presentarsi a terra con gli abiti da fatica: sarebbe stato indecoroso per la società di appartenenza. Altri tempi!

Si ricomincia a vogare nel pomeriggio, battagliando con un fastidioso vento di levante, finché verso sera i nostri giungono a Fasana. Vale la pena leggere le annotazioni del diario:

Ore 18.45- Arriviamo a Fasana dove una bella sorpresa ci aspetta: due armi della consorella ” Pietas Julia” di Pola sono lì ormeggiati ad attenderci e ci fanno festa, invitandoci a proseguire oggi stesso per Pola insieme a loro, invece che fermarci a Fasana dove anche difficile trovare da dormire.

E più tardi, dopo qualche indecisione ed un lauto spuntino:

...mentre la yole ad otto di Pola è già al largo, ci stacchiamo dal molo sulla scia della joletta a due vogatori de l’anzidetta Società e lasciamo Fasana per compiere l’ultima tappa della nostra crociera

Ancora una volta emerge lo spirito che animava le società di canottaggio al di fuori delle competizioni sui campi di regata.

ore 21.30 – Intanto siamo entrati nel Porto e ci dirigiamo al pontile della Canottiera “Pietas Julia”. Fraternamente accolti sbarchiamo stanchi ma non sfiniti, gentilmente aiutati nelle varie necessità dell’imbarcazione dai soci ed anche dai dirigenti della Società… che mettono a nostra disposizione la saletta della direzione

La crociera è così conclusa: 133 Km in 17 ore di voga effettiva.

Gli anni successivi, quelli che portarono alla guerra e alle vicende che ne seguirono, segnarono la fine di tali imprese e l’Adriatico per lungo tempo parve perdere la sua indole accogliente. E più tardi il canottaggio si orientò decisamente verso competizioni di puro agonismo. Oggi, chi si cimenta in questo nobile sport lo fa, giustamente, per un titolo, una coppa, una medaglia. La voga, come sfida con se stessi, ha perso inevitabilmente il fascino di un tempo e soprattutto non ha conservato quella patina sottintesa di esplorazione e di avventura

Oggi Pola l’Istra e la Dalmazia sono più che mai meta di croceristi e vacanzieri di vario genere ma, ormai, è un altro mondo. Tuttavia, nonostante il succedersi delle vicende storiche e politiche e gli inevitabili cambiamenti imposti dal progresso e dalla modernità, quelle coste si lasciano sempre ammirare per l’immutata bellezza. Ed ancora oggi, con un po’ di sforzo di immaginazione il navigante sensibile e attento può vederle con gli occhi e lo spirito di quei pionieri e sentirsene un po’ partecipe.

La Jole a 8 della Bucintoro


I canottieri della “Timavo” protagonisti della crociera Monfalcone–Pola, agosto 1930 (foto Archivio privato)